La viticoltura italiana ha subito profondi cambiamenti negli ultimi 200 anni, evolvendosi da un settore agricolo tradizionale e a bassa produttività a una delle industrie più sofisticate, competitive e riconosciute a livello mondiale. Questi cambiamenti sono stati influenzati da diversi fattori, tra cui innovazioni agricole, cambiamenti economici, globalizzazione, eventi naturali e parassitari e politiche agricole. Vediamo insieme le principali tappe di questa evoluzione, evidenziando le sfide affrontate, le risposte adottate dai viticoltori italiani e qualche mia considerazione come vignaiolo artigiano.
La viticoltura italiana ottocentesca
Nel XIX secolo, siamo nell’Italia che vedrà l’unificazione nel 1861, la viticoltura italiana era ancora un’attività prevalentemente artigianale e rurale, caratterizzata da piccole aziende agricole. La vigna era un elemento centrale dell’economia rurale, con molti contadini che coltivavano piccole superfici per il consumo domestico o per vendere il vino localmente.
Ogni regione vitivinicola italiana aveva le proprie varietà di uva, adattate al territorio e al clima, fortunatamente ancora oggi la stragrande maggioranza protegge questo tesoro di varietà autoctone, ma il problema o la bellezza è che gli appezzamenti non erano uniformi, e cioè che i vigneti erano composti da più varietà di uve o talvolta insieme al grano e o ad altri alberi da frutto (agricoltura promiscua) e quindi non ottimizzati per la produzione su larga scala. Sono famose le parole di Oudart Louis, il padre di alcuni famosi vini Piemontesi, che scrisse nell’ Introduzione all’ampelografia Italiana del 1873, “il grande ostacolo, che resiste a tutti inostri sforzi, è positivamente il numero disordinato di varietà di vitigni che popolano uno stesso podere”. Nonostante le notevoli trasformazioni, all’inizio del 1900 il vigneto in coltura promiscua rappresentava oltre il 50% della produzione viticola italiana. Detto questo c’erano comunque specifiche produzioni vitivinicole, in limitate aree del Piemonte, della Toscana, della Lombardia e della Sicilia, che iniziavano a specializzarsi (cosiddetta “alla francese”), possiamo prendere in esempio l’interesse profuso da parte di Camillo Cavour nella nascita del Barolo, nel decennio 1830-1840, e il lavoro di Bettino Ricasoli padre del Chianti classico nel 1872, che prendono entrambi spunto dall’esperienza Francese, facendo diventare questi vini famosi in tutto il mondo. La viticoltura francese e quella italiana intrecciarono rapporti già da prima e continueranno nel corso del tempo.
Abbiamo già detto che, in questo periodo, la viticoltura si basava su pratiche tradizionali, trasmesse di generazione in generazione, senza il ricorso a tecniche moderne o scientifiche, ma basate sull’osservazione e l’esperienza. A partire dalla metà dell’ottocento arrivano le prime sfide contro le fitopatie della vite. La prima arriva con l’oidio che, dal 1850 e fino al 1865, devasta la produzione vitivinicola italiana fino a quando non si scopre l’efficacia dello zolfo. La seconda è la fillossera del 1875 che si espande lentamente in Italia per più di 50 anni, lasciando salve alcune viti, oggi dette a piede franco, che sono sopravvissute grazie alla conformazione e composizione del terreno che rendeva e rende inospitale la vita e la riproduzione dell’insetto. Questo evento fu meno violento del primo, vista anche la velocità di diffusione, pensate che in Puglia e Sardegna arriva intorno al 1920, ma fu comunque un costo enorme e allo stesso tempo una spinta nella ricerca e sviluppo, inoltre l’epidemia filloserica, arrivata più tardi in Italia rispetto alla Francia, diede slancio alla produzione interna e all’esportazione, verso la Francia, soprattutto di vini da taglio. Questo fenomeno interesso particolarmente il meridione dell’Italia e in particolare la Puglia e la Sicilia. La Puglia riconvertendo i terreni destinati alla produzione di grano, processo facilitato dal calo dei prezzi del grano dovuto dall’importazione dagli Stati Uniti e dalla Russia, passò da 90.000 ettari del 1870 a 320.000 ettari vitati del 1900 e lo stesso accadde in Sicilia che in 30 anni aumentò la superfice vitata di oltre 180.000 ettari. L’esportazione di vino Italiano verso la Francia nel 1871 era di circa 35.000 ettolitri arrivando a 2,8 milioni di ettolitri nel 1887. La Francia si riprende dalla piaga della fillossera e dal 1888 si sciolgono i trattati italofrancesi, si salvi chi può griderebbe qualcuno, improvvisamente l’esportazione cala e nel 1890 siamo a 23.000 ettolitri esportati, molto meno del pre-epidemia. In parte il surplus produttivo verrà venduto in Austria, Svizzera e Germania ma il colpo è tremendo per L’Italia che si vede perdere quasi tutte le superfici vitate impiantate nel trentennio precedente. (Dandolo Francesco, Vigneti fragili. Espansione e crisi della viticoltura nel Mezzogiorno in età liberale del 2010 – La formazione del viticoltore nelle campagne meridionali tra fine Ottocento e inizio Novecento 2002)
Dalle situazioni di crisi nasce la reazione e il cambiamento, nel 1872 nascono Le Stazioni Enologiche di Asti e Gattinara con l’obbiettivo di studiare la struttura chimica del vino, la struttura del suolo e ricercare tecnologie per la coltivazione. Nel 1875 c’è il primo congresso di enologia a Torino, nel 1876 la Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano Veneto e dal 1881 seguirono quella di Avellino, di Alba, di Catania di Cagliari e Perugia. In Italia inizia l’era moderna della viticoltura.
La viticoltura del XX secolo
Forte delle nuove scoperte e del rifacimento dei vigneti post fillossera i primi anni del 1900 furono di ripresa, la prima guerra mondiale non ebbe molta influenza, ma il secondo conflitto mondiale contribuirà a dare un duro colpo al comparto. Nonostante l’aumento delle superfici vitate nel ventennio fascista, da 800.000 ettari a circa 1 milione, volto ad aumentare le quantità a discapito della qualità, producendo su terreni non propriamente vocati per la viticoltura, la produzione di vino in Italia scese drasticamente. Il calo della produzione fu provocato, in parte, anche dalla così detta “Battaglia del grano”. Il 4 luglio del 1925 Benito Mussolini, istituì con regio decreto, il comitato permanente del grano che serviva a rendere l’Italia indipendente dai grani esteri, purtroppo quest’operazione andò a discapito delle produzioni più redditizie, tra cui anche l’uva, infatti molti viticoltori, spinti dalla propaganda, seminarono grano nei vigneti. La necessità di produrre più grano diede spinta alla produzione industriale di fertilizzanti.
La produzione media di vino va dai 44 milioni di ettolitri del 1910 ai 36 milioni nel 1940, inoltre diminuivano non solo le quantità ma anche i prezzi. Diversi furono i tentativi di ridare slancio al settore ma senza grandi risultati. Nel 1930 fu istituita la Festa Nazionale dell’uva, nel 1934 “l’Autotreno Nazionale del Vino”, nel frattempo cerano delle campagne contro l’alcol, situazioni che possiamo tranquillamente vedere anche oggi, e in generale c’era stata la crisi finanziaria estera del 1926. In questo periodo di difficolta s’iniziano ad abbozzare le prime idee di consorzi di tutela e le prime forme di DOC come le chiameremo oggi. Infatti, è di Arturo Marescalchi, allora sottosegretario all’agricoltura e fondatore dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani nel 1891, il merito per la prima proposta di progetto per i “Vini Tipici” , convertito in legge nel 1926 e che successivamente crea le basi per i consorzi di tutela, ma per questo bisognerà aspettare la legge del 1963 sulle prime DOC.
L’Italia del vino tocca il fondo, alla fine della guerra i prezzi sono al minimo storico, ma da qui s’inizia a ricostruire e nei prossimi 30 anni il settore sarà in costante ripresa. Da 36 milioni di ettolitri del 1940 arriviamo a 76 milioni nel 1970 l’accelerazione puntava alle quantità a basso prezzo, vennero impiantati vigneti ad alta produttività, le varietà meno produttive vennero messe da parte, entra la meccanizzazione per lavorare i terreni, tutto questo ovviamente a discapito della qualità. Le quantità aumentano e i prezzi calano, nel 1976 l’Italia raggiunge una superfice vitata di 1.238.000 ettari ( fonte Istat ). In questo decennio, che va dal 1960 al 70, assistiamo al successo del Franciacorta e dei “Supertuscan” e lo sviluppo di nuove aree produttive nel Nord Est.
Con il diminuire dei consumi pro-capite e una sovrapproduzione i prezzi dei vini continuano a diminuire e le politiche europee , con grande ritardo, nel 1987 con il regolamento comunitario 822 disciplinano la ricostituzione dei vigneti. Dal 1988 la produzione in Italia inizia a diminuire, arriviamo a una superfice vitata nel 2012 di quasi 700.000 ettari con una produzione di circa 40 milioni di ettolitri (quasi la stessa media di produzione del 1910).
La viticoltura del XXI secolo
Arriviamo alla fine, alla storia di questi primi 25 anni del terzo millennio. La viticoltura oggi deve affrontare sfide legate alla globalizzazione, alla sostenibilità ambientale e alla competizione internazionale. L’industria vitivinicola italiana ha dovuto confrontarsi con l’aumento della competizione da parte di nuovi paesi produttori di vino, come gli USA, l’Australia, l’Argentina e il Cile. Tuttavia, l’Italia ha continuato a crescere nel mercato mondiale, grazie a innovazioni nelle tecniche di vinificazione, all’adozione di tecniche agricole moderne e al marketing delle denominazioni di origine. Le esportazioni di vino italiano sono aumentate in modo significativo, con i vini italiani che oggi rappresentano una delle maggiori voci dell’export agroalimentare. I consumatori globali hanno apprezzato il patrimonio storico e la diversità dei vini italiani, con un forte focus su qualità e autenticità.
Negli ultimi decenni, la viticoltura italiana ha anche fatto passi avanti in termini di sostenibilità. Molte cantine italiane hanno adottato tecniche biologiche e biodinamiche rispondendo alla crescente domanda di vini più rispettosi dell’ambiente e questo ha determinato, per certi versi, uno scisma sulla visione futura della viticoltura e della produzione di vino.
Che futuro avrà la viticoltura Italiana
Ho voluto fare questo viaggio spinto proprio dalle condizioni attuali, effettivamente stiamo assistendo all’ennesimo grosso cambiamento, si solleva la problematica dell’alcol che fa male, lo scarso interesse dei giovani, le difficoltà burocratiche e proprio in questi giorni la guerra commerciale degli USA.
La viticoltura Italiana ma anche quella Francese, sta attraversando una crisi profonda, abbiamo visto che, come una fisarmonica, l’andamento della produzione di vino negli ultimi 100 anni si è allargato e poi è ritornato a restringersi fino a tornare alla produzione del 1900.
La domanda nasce spontanea, dove è diretta la viticoltura Italiana?
E’ difficile dare una sola e unica risposta a questa domanda, dipende dai punti di vista, dipende dagli interessi geopolitici, dipende dalle mode del momento e dalle politiche locali ed europee. Posso provare a dare una mia personale visione che poi è quella che cerchiamo di comunicare attraverso i vini che produciamo, l’agricoltura oggi deve farsi carico di proteggere il pianeta attraverso pratiche agronomiche in armonia con la natura. Il futuro della viticoltura è destinato a doversi ridimensionare drasticamente per ridare spazio agli ecosistemi e spazio a nuove forme di agricoltura.